il redattore fantasma

6.8.11

Foto di famiglia_13

Nella stanza dei santini non avevo pace, perché oltre a mantenere l’ordine dovevo anche aiutare i clienti nelle loro ricerche, se me lo chiedevano. E io di tutti quei santi ne conoscevo sì e no una decina. Comunque, visto che non mi interessava fare carriera alla libreria Tau e che il mio lavoro sarebbe comunque finito entro tre giorni, non ci mettevo certo molto impegno a aiutare i clienti, che di solito venivano da me con le richieste più strane. Cose tipo: «Non trovo le immagini di san Pellegrino Laziosi, le avete spostate?». Oppure: «Mi può dire dov’è santa Casilda da Toledo?». Io ricordavo il rigido ordine alfabetico degli espositori, anche se, sinceramente, non avrei saputo dire se la santa in questione fosse sotto la c di Casilda o la t di Toledo. Ma i clienti facevano anche domande più complesse, e assurde: «Non avete un formato più grande dell’immagine di Eurosia di Jaca?» mi aveva chiesto, per esempio, una ragazza con gli occhiali spessi un dito e una pelle dal colore lunare. «Chi?» le avevo risposto un po’ stizzito, lo ammetto. «Sant’Eurosia, la protettrice dei raccolti dai fulmini e dalle grandinate!» aveva detto lei, visibilmente incazzata. Ma esisteva davvero un santino di questa santa? Chi l’aveva mai sentita nominare? E c’era anche qualcuno che lo voleva, anzi, che ne cercava uno più grande? Le avevo risposto che non l’avevamo. E la ragazza si era allontanata disgustata, forse era andata a chiedere direttamente ai fratelli Gibigiana. Non avevo fatto in tempo a riordinare nemmeno uno scomparto che un’altra fanciulla diafana mi aveva tirato per una manica chiedendomi a bruciapelo: «Che immagini avete dei Sette santi fratelli Maccabei?» Ovviamente non ne avevamo neanche una. Così, anche a lei, avevo ripetuto le risposte standard che c'erano scritte nel foglio passatomi dal Gibigiana maschio, una reliquia ciclostilata a Roma nel 1956, anno di fondazione della Tau Edizioni. Emettevo frasi impersonali come un risponditore automatico, cose tipo: «le immagini dei santi sono esposte in ordine alfabetico», «le immagini sono divise per lettera in base al nome», «se un’immagine non è esposta significa che non è disponibile», «se l’immagine non è disponibile provvederemo a procurarvela entro dieci giorni, basta che compiliate il formulario che trovate alla cassa…». Ero freddo, rapido, poco gradevole. Anche perché quella gente mi sembrava esaltata, fanatica, più o meno come quei kamikaze che si erano schiantati contro le torri gemelle il giorno prima. Quindi non facevo il minimo sforzo per sembrare simpatico. Non volevo esserlo. Comunque nessuno si lamentava. Al massimo se ne andavano un po’ abbattuti, per le loro ricerche frustrate, mentre altri ripiegavano su qualcosa di più comune: «Non avete una bella immaginetta di san Gratiliano?». Pochissimi insistevano. La ragazza smunta che cercava santa Eurosia, per esempio, era tornata due volte di seguito, stolida, sempre più petulante: «Mi fa vedere un poster di santa Eurosia?». Evidentemente non aveva memoria o proprio non lo capiva che di santa Eurosia non avevamo niente. Così avevo provato a indirizzarla verso gli unici poster disponibili, quelli del Sacro cuore di Gesù, di papa Wojtyla (all’epoca vivente e non ancora beato) e di don Álvaro del Portillo (solo in seguito avrei scoperto che si trattava di un alto prelato dell’Opus Dei). Il poster di don Álvaro era orrendo, eppure era un vero bestseller della libreria: si vendeva a una velocità impressionante e infatti, in magazzino, ne avevano scorte industriali. (Perché tanta gente comprava i poster di un pezzo grosso dell’Opus Dei? Perché?) Ma la ragazza petulante non lo voleva. «Insomma» strillava «non avete santini e neanche un poster di santa Eurosia?! Possibile che non riesca a trovarlo da nessuna parte?!». Proprio non riusciva a capacitarsi. Stava per mettersi a piangere. Io le avrei dato un ceffone, così forse si calmava. Poi era scappata a lamentarsi dal Gibigiana maschio che, come Gesù, l’aveva blandita posandole una mano sulla fronte e regalandole un bel rosario di plastica. E io mi chiedo perché una ragazza di vent’anni volesse proprio il poster di una santa che proteggeva i raccolti dai fulmini e dalle grandinate e che era morta – come avrei appreso dal dizionario dei santi - nel nono secolo dopo Cristo.

20.7.11

Vita da redattore_17

Poi è squillato il telefono di Gladia. Era l’editor, la stava convocando alla riunione. Ma come, lei è stata invitata e io no? La vedo prendere l’agendina e certi fogli che aveva preparato sulla scrivania. Si alza, mi sorride velocemente e se ne va, con l’aria di una che ha molto da fare.
Non so di cosa abbiano discusso là dentro, so solo che la riunione è andata avanti parecchio. Poi, quando ormai avevo smesso di pensarci, è suonato anche il mio telefono. Ancora l’editor, chiedeva di andare da lui. Ecco, lo sapevo che avrebbero invitato anche me, dovevo solo avere pazienza. Forse gli Autori volevano discutere di come organizzare il lavoro futuro, oppure avevano visto le bozze e volevano farmi i complimenti per come stava venendo il loro libro… Camminando nel corridoio ho provato anche qualche risposta alle loro domande più probabili, perché volevo fare una bella figura. Mi sono addirittura specchiato davanti all’ascensore per controllare che fossi in ordine. (A pensarci oggi, mi vergogno di essere stato così ingenuo.)
Ma le mie fantasie sono durate poco. Una volta entrato nella sala 2 mi sono trovato davanti il grande tavolo delle riunioni, vuoto. O almeno così sembrava, perché i tre Autori erano raggruppati dalla parte opposta della stanza, stretti in modo imbarazzante intorno a Gladia. Solo l’editor ha sentito il mio saluto. Era l’unico seduto al lato lungo del tavolo e mi stava aspettando. Gli Autori invece discutevano con Gladia di teorie estetiche, facevano un mucchio di nomi ma io mi ricordo solo quello di Panofsky, anche perché era l’unico autore che conoscevo.
Se pensavo che l’editor volesse farmi partecipare alla riunione mi sbagliavo. Infatti mi ha messo in mano un mazzetto di fogli, si è avvicinato al mio orecchio, per non disturbare la discussione, e mi ha bisbigliato di farne quattro copie. In fretta, grazie.
Mentre andavo alla fotocopiatrice non ho potuto fare a meno di sentirmi frustrato. Mi sono lamentato con me stesso per come venivo sottovalutato rispetto a Gladia, che godeva già della considerazione generale mentre io, che lavoravo in quel posto da anni, che faticavo sui testi spesso insensati di quei tre per trasformarli in un libro leggibile, io venivo praticamente ignorato da tutti. Ma per fortuna non avevo molto tempo per l’autocommiserazione. Ho buttato i fogli nella macchina – si trattava dell’indice dei box affidati a Gladia e la copia dei primi che aveva scritto –, ho fascicolato alla perfezione le quattro copie richieste e sono tornato nella sala riunioni. L’editor e i vecchioni sembravano rapiti dalla stagista che, se ho capito bene, stava illustrando la sua personale concezione dell’arte barocca. L’editor, senza scollare gli occhi da lei, mi ha sfilato le fotocopie dalle mani e le ha distribuite lentamente agli altri, che hanno tastato a caso il tavolo, come ciechi, per riuscire a prenderli senza lasciarsi sfuggire nemmeno una parola della ragazza.
Evidentemente ero l’unico a non subire l’incantesimo della sua voce.
Lei ha ruotato gli occhi verso la porta per incrociare i miei. Occhi dorati e radiosi, abbastanza lucidi di compiacimento da farmi intendere che stava letteralmente godendo delle attenzioni di quel gruppetto di uomini. Per un istante ho avuto la sgradevole visione di quello che il tavolo fortunatamente celava: quattro erezioni senili che puntavano invano verso di lei.
Forse a Gladia sarebbe piaciuto soggiogare anche me, finalmente, ma i nostri sguardi, dopo un attimo insopportabile di fastidio reciproco, si sono sgrovigliati. L’attimo dopo io ero già sparito.

9.7.11

I miserabili_4

Alla fine Amalia mi telefona, dopo un paio di giorni.
Esaurite le solite smancerie, mi dice di aver chiamato l’amministrazione per avere chiarimenti e di aver scoperto che in effetti è andata proprio come sospettava lei, cioè che il mio contratto, perfettamente in regola e firmato da tutti, si è arenato, non si sa bene quando, nei loro uffici, per colpa di uno dei soliti disguidi…
«E il mio pagamento?» chiedo.
«Purtroppo, siccome non c’era traccia del tuo contratto, il pagamento di maggio non è andato a buon fine».
Me ne ero accorto.
Ascolto in silenzio Amalia che mi chiede personalmente scusa per questo spiacevole disguido e mi raccomanda di presentare due note di pagamento il mese prossimo, per avere anche lo stipendio arretrato.
«E il mio contratto quando arriverà?» chiedo, retoricamente.
«Presto, prestissimo!»
«Sarebbe ora, visto che lo aspetto da due mesi» vorrei dirle, ma rimango zitto.
«Appena lo ricevo dall’amministrazione te lo mando, non ti preoccupare!» promette Amalia in uno dei suoi slanci di tranquillizzante solerzia. E poi non la smette più di scusarsi per questo contrattempo, e per il disagio che ho subito, e per non essere stata in grado di darmi una risposta prima eccetera.
Se non la conoscessi da tempo, se non avessi sentito così tante volte queste sue frasi affettate e non sapessi che sono prive di sostanza, che non valgono niente, forse, dico forse, potrei anche commuovermi.
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